giovedì 10 marzo 2016

CANONE ETERNO, CORPI EFFIMERI


Le figure realizzate secondo i canoni classici entrano nel lavoro di molti artisti contemporanei, dalle avanguardie di inizio del secolo scorso fino alle neoavanguardie anni '70 e poi nel postmoderno, sotto forma di citazioni.  Diversi artisti prendono posizione nei confronti del canone, in forma di  ready made, sia con un lavoro di frantumazione o riposizionamento, sia con operazioni  in cui è presente il proprio corpo nel contesto dell'opera.

DUE FILM CHE RIPENSANO IL CANONE:
FILM Peter Greeneway, Lo Zoo di Venere A Zed & Two Nought), 1985
Bellezza , frammento amputazione e decomposizione. Dal mito di Leda e il cigno.

FILM Sergej Iosifovič Paradžanov , Il colore del melograno, regista sovietico (1924 –1990) ,
film sulla biografia di Sayat-Nova, poeta trovatore armeno del XVIII secolo ucciso perché rifiutò di abiurare la Cristianità e convertirsi all’islamismo. La storia è raccontata attraverso stralci delle opere del poeta e ieratici quadri figurati, dove la bellezza classica costantemente evoca anche la finitezza del corpo umano di cui è modello: il sangue, la decomposizione, la morte, la sensualità.

Il canone classico antico  diventa un modello con il quale mettersi a confronto, smontandolo linguisticamente e  modificandone il significato, (Dalì, Man Ray, Giorgio De Chirico ) oppure vedendolo come testimonianza  della sparizione del  mito che la modernità non può che osservare da una propria incolmabile distanza (Kounellis, Paolini, Pistoletto), oppure ancora come un archivio inesauribile di segni  dei quali, tuttavia,  si è perduto, senza più rimpianti,  il significato, come nel caso del postmoderno e con cui ci si confronta con ironia.   In ognuna di queste procedure, però, ciò che appare chiaro è il posizionamento del corpo dell'artista e di quello dello spettatore, dove il primo  agisce, compie una mossa, un'azione, prende posizione come un giocatore di scacchi, piuttosto che  produrre un nuovo canone, un nuovo modello,   mentre il secondo, lo spettatore, non è più solo un osservatore di un'opera che si dà solo al suo sguardo in un istante di tempo, ma si trova davanti a dispositivi il cui svolgimento di compie in una durata di tempo e  che  interrogano il suo corpo, la sua percezione e la possibilità o il compiersi del suo movimento nel tempo dell'opera.
(Per un approfondimento sulle pratiche della citazione, vedi Lucilla Meloni, Arte guarda arte, pratiche della citazione nell'arte contemporanea, Postmedia book, 2013

SALVATOR DALÌ




Dalì, Venere Dei Cassetti, 1936

Si tratta di una copia in marmo della Venere di Milo ( Venere scoperta a Milo nel 1820, e che sostituì, come mito della grandeur francese, la Venere Medici che la Francia, sconfitto Napoleone, aveva dovuto restituire all'Italia) che si trova al Louvre, bronzo con montatura tipo gesso e nappe di pelliccia. Si trova a Rotterdam,Museum Boymans-van Beuningen. Analogia linguistica: l’idea della Venere di Milo con cassetti nasce, secondo C. Maddox, durante un soggiorno di Dalì in Inghilterra presso il magnate Edward James. L’umano si trasforma in oggetto secondo l’ambiguità della traslazione linguistica della parola chest (letteralemente “torace” ma anche “mobile”) che connota il chest of drawers, ovvero un arredamento tipicamente britannico.

MAN RAY 
Man Ray, Venere restaurata 1946 , collezione Schwartz,
anche qui la Venere di Milo, ma stavolta legata con le corde.

JANNIS KOUNELLIS

Jannis Kounellis, performance alla Galleria La Salita, Roma

1973 fotografato da Claudio Abbate
Su un tavolo sono i pezzi di una statua virile, mentre sul mezzobusto acefalo sta un corvo impagliato. Dietro al tavolo Kounellis, seduto, con il volto coperto dal calco del viso della statua, mentre di lato un musicista suona al flauto un'aria di Mozart. L'artista si impossessa di ciò che resta della statua e di ciò che essa rappresenta.

LUIGI ONTANI


Luigi Ontani,  Teofanie, dagli anni '70 
Le trasformazioni,  interpretazioni, ricollocazioni, mediante il proprio corpo, che  Luigi Ontani offre all'obiettivo che lo fotografa, spesso guardando direttamente in macchina..La bellezza classica dei canoni, interpretata dal suo corpo spesso nudo, converte l'ideale di bellezza verso una bellezza con forte carica erotica. Fotografa spesso queste sue perfomance e le foto ( realizzate e ritoccate da fotografi professionisti), documentazioni delle sue azioni, restano come opere finite  a tutti gli effetti . "L'artista si spoglia per assumere identità del canone, personaggi ambigui, efebi dal corpo ibrido, creature in bilico tra un sottile erotismo , una leggera ironia e un gusto vagamente kitsch", scrive Raffaele Perna suAB2 il 13 dicembre 2012.

GIULIO PAOLINI

Giulio Paolini, L’altra figura, 1979-80
Calchi in gesso, frammenti di calco in gesso, basi bianche opache
Museet for samtidskunst, Oslo
Paolini,
Dalla descrizione della Fondazione Paolini: "Due calchi in gesso dell’Ebe (1812) di Bertel Thorvaldsen, collocati ognuno su una base, sono contrapposti in modo leggermente sfalsato. Ciascuna figura trattiene in entrambe le mani uno o più cocci di un terzo esemplare del medesimo calco. “Prima ancora che scambiare un gesto di offerta, ciascuna delle due figure sembra quasi porsi in questione, riflettere tra sé e sé, sollevando il dubbio se quei frammenti siano parti di se stesse o piuttosto parti di un’eventuale ‘altra figura’, peraltro identica a loro” (L’artista in conversazione con M. Disch, gennaio 2004).
Il tema dell'opera seriale L’altra figura conosce cinque versioni successive, realizzate fra il 1983 e il 1986, che si distinguono per un diverso soggetto dei calchi: 
il busto dell’Athena Lemnia,
il busto dell’Eros di Centocelle,
l’Efebo di Maratona
Paolini , L'altra figura , 1986, Théâtre Royal de la Monnaie, Bruxelles
















Due calchi di resina interi e uno in frantumi, cavi d’acciaio, basi in profili di ottone
Dalla descrizione della Fondazione Paolini:"L’opera è stata realizzata per il Salon Royal del Théâtre Royal de la Monnaie a Bruxelles, in occasione della sua ristrutturazione da parte dell’architetto Charles Vandenhove1. Due calchi di resina dell’Efebo di Maratona, collocati ognuno su una base in profili di ottone, sono disposti a ridosso dei muri laterali del salone. Una tensiostruttura costituita da cavi d’acciaio, tesi fra il punto di contatto a parete delle due figure e i quattro angoli superiori dell’ambiente, genera un disegno geometrico che squadra l’estensione del salone e inscrive i cocci dell’“altra figura”, disseminati sul soffitto a partire da un addensamento centrale. Due frammenti si trovano rispettivamente sulla mano aperta dell’Efebo e sulla parete in corrispondenza dell’altra mano. Il medesimo soggetto è ripreso senza la tensiostruttura in una versione in gesso, realizzata nello stesso anno, con i cocci del terzo calco distribuiti su alcune basi collocate tra le due figure lungo lo stesso asse.".

PISTOLETTO 


Pistoletto, Venere degli stracci, 1967-74
L'’installazione, manifesto dell'arte povera, è costituita dall’accostamento provocatorio e stridente fra la riproduzione della Venere con mela dell’artista neoclassico Bertel Thorvaldsen (di cui  Pistoletto aveva acquistato un calco in gesso) e un cumulo di abiti usati. La scultura, che evoca pose e proporzioni della Venere di Milo e la Venere Callipigia, è un esperimento di doppia imitazione: finto marmo, copia da giardino, abiti dismessi e stracci.

A CIASCUNO IL PROPRIO CANONE - CERCARE I PUNTI AFFIORANTI 

NUDO FEMMINILE 

 NUDO MASCHILE 






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